Lunedì 17 Ottobre 2011, Stadio Rigamonti: Brescia-Pescara
Parcheggio riservato dentro lo stadio, ingresso utilizzando il biglietto di un altro, nessun controllo dei documenti e perquisizione, ingresso dalla mix-zone, tribuna centrale e buffet con the caldo incorporato. Tutto gratis. Così potrei descrivere la mia partita di Lunedì. Bella pacchia, direte voi, ma c’è molto altro. Mi chiedo: sarà così il calcio di domani? Saranno così gli stadi di domani? I bambini, quando entreranno allo stadio, si troveranno il cameriere con il vassoio dei dolcetti, un buffet dove puoi farti servire un bicchiere di Coca-Cola o un caffè. Spesso circondati da una pletora di persone: distinti quadri della città, uomini ingellati e palestrati che portano ragazze ben truccate e dai culi sodi per fare bella figura, dirigenti vari. Sia chiaro, non sono cattive persone ma esprimono un perbenismo che mi fa paura. Anche perché è tutta gente che il biglietto non l’ha mai pagato. A 15, 20 metri da queste scene troviamo la curva, il luogo del popolo e dei suoi impulsi. Traboccante di gente e di tifo. Con fumogeni sotto i piedi, aste per le mani e bandieroni sotto di loro. E’ il calcio della gente, come lo intende la gente, com’è sempre stato. Bello ma scomodo. E’ tutto lì il problema, almeno per una generazione come la mia cresciuta nella comodità assoluta. Il benessere non corrisponde minimamente al piacere. Dobbiamo tornare ad apprezzare le cose, soprattutto quelle cose che non ci piacciono: è troppo facile cercare solamente il piacevole. Prima o poi tutti affronteremo cose noiose ma estremamente utili, lì dovremmo impegnarci e dare un senso alle cose. Apprezzare tutta quella lista all’inizio è molto facile: si può fare una volta, due. Quando confondiamo lo stadio con il teatro, quando per una volta vogliamo approfittare del lusso di altri. Non può sempre andare così, il prezzo sarebbe altissimo: perdere il senso della fatica, il valore delle cose. Il foot-ball non è come il teatro: è ben di più. Chiunque ne è cosciente, mi chiedo come a certa gente non venga il magone. Soprattutto quando hai 20 anni, grandi energie da spendere verso la tua squadra del cuore. Anche a 35-40 bisogna andare in curva, non dico che le forze sono uguali ma c’è da insegnare: al ventenne vicino di posto e al bambino sottobraccio. Anche tuo figlio deve imparare a scoprire le tue stesse emozioni.

Certo, il foot-ball (come qualunque sport) è spettacolo ma anche su questo bisogna fare attenzione. Sto imparando, non vi dirò come (per ora), che l’uomo è un animale poetico: insegue poesia. Ha bisogno di emozioni, sotto quest’aspetto essere pantagruelici è quasi un vantaggio. Vedere e basta non c’interessa più, ci servono sensazioni sottintese nella poesia. Anche un campo di calcio può contenere poesia. Vivere secondo poesia vuol dire rinunciare alla gloria derivante dal denaro, dal successo e dalle esaltazioni collettive. Vuol dire scegliere una vita di dono, sacrificarsi per la gente e trovare nei loro occhi la felicità. La gioia di uno vale quella di tutti. E’ quello che ho visto Lunedì: il calcio di Zemàn. E’ fatto per la gente, si devono divertire e tornare a casa con qualcosa. E’ il pubblico il tuo referente. Il calcio inteso come ludos e come logos. I giocatori vanno da Zemàn, non a caso soprannominato Maestro, per imparare come si gioca. Conoscere ed applicare. Oggi con gli stessi metodi di 20 anni fa: la linea di difesa posizionata appena prima del centrocampo, il portiere posto a custodia tra la difesa e l’area di rigore come libero aggiunto, il fuorigioco ossessivo, il pressing, triangolazioni, sovrapposizioni e movimenti compulsivi dei terzini. Arrivare al sabato (o alla domenica) per divertirsi dopo una settimana di sofferenza, come una fabbrica: gesti ripetitivi compiuti continuamente, lavoro fisico ossessivo, sacco di sabbia dopo sacco di sabbia. I gradoni sono l’immagine per eccellenza di questa poetica. Il divertimento è tale, prendendosi dei rischi: come lo facciamo da bambini, con il piacere dell’incoscienza. Questo con un’etica, perché non sono importanti gli altri: bisogna sempre guardarsi dentro di sé e fare bene le proprie cose. Certo, può capitare di non essere premiato, di vedere qualcun altro più furbo di te passarti davanti e prendersi meriti che non hanno. Certo, può capitare ma non è sempre così. Quantomeno nelle società giuste. Le società malate (quella italiana lo è) la si cura così: attraverso l’onestà del lavoro.

Zemàn o Martin Lutero?
Lunedì abbiamo visto il Pescara vincere, abbiamo applaudito il Pescara. A casa abbiamo riflettuto? Oppure abbiamo fatto la nostra comparsata in società? Abbiamo ragionato non tanto sul foot-ball in sé ma sui valori che ci sono dietro? La lezione di Zemàn, il suo calcio e i suoi metodi, si possono applicare nella vita. Tranquillamente. Se ragionassimo come lui saremmo persone migliori e forse avremmo meno paura di non essere “belli e vincenti”. Ci accetteremmo di più ma soprattutto sapremo accettare quei momenti in cui la vita ci sputa in faccia.

Zemàn o Max Weber?